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Responsabilità medica: al sanitario spetta la prova che non ci sia stato inadempimento

Commento dell’Avv. Teresa Varvarà alla sentenza della Cassazione civile n. 5128/2020 in tema di Responsabilità medica e prova contraria a carico del sanitario.

In ipotesi di intervento inutile e negligente è il medico che deve dare prova che il trattamento praticato non abbia cagionato alcun pregiudizio alla salute del paziente e, quindi, irrilevante dal punto di vista eziologico.

La Corte di Cassazione, III sez. civ., con la sentenza n. 5128/2020, in accoglimento del ricorso di una paziente che aveva agito in danno di un centro medico e del sanitario che l’aveva in cura, ha stabilito che a quest’ultimo spetta provare che non vi è stato inadempimento, e che, in caso di negligenza sotto il profilo dell’ars medica, qualora abbia sottoposto il paziente a trattamenti inutili e non corretti, questi non abbiano cagionato alcun pregiudizio alla salute del paziente, ovvero che siano stati eziologicamente irrilevanti. Invero, nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l’esistenza del nesso causale, «provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata».

Il fatto

Una paziente, lamentando di essere stata sottoposta ad un trattamento sanitario – rimasto incompleto – errato e peggiorativo del suo stato di salute, agiva in danno della clinica presso si era rivolta, nonché del medico che aveva materialmente eseguito l’intervento, chiedendo il risarcimento dei danni patiti, patrimoniali e non patrimoniali, oltre alla restituzione degli importi corrisposti a titolo di compenso.

 La vicenda

In primo grado, la domanda veniva accolta con condanna in solido dei convenuti al risarcimento del danno. In sede di gravame, la Corte d’appello di Bologna, riformava la sentenza di primo grado, reputando non provata la condotta negligente del medico e il nesso causale relativo al conseguente danno biologico.

Ritenendo che tale decisione violasse la disciplina degli oneri probatori in quanto grava sul convenuto l’onere di provare di aver correttamente adempiuto al proprio incarico, e che il trattamento sanitario praticatole e lasciato incompleto dal medico, si fosse rivelato errato e peggiorativo del suo stato di salute, la paziente proponeva ricorso in Cassazione.

La decisione

Gli Ermellini, partendo dal presupposto che il rapporto tra paziente e medico, presso una struttura privata, rientra nella responsabilità contrattuale, hanno sottolineato che, ai fini del riparto dell’onere probatorio, il paziente danneggiato deve provare l’esistenza del contratto (o contatto sociale) e l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento, nonché il relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre a carico del medico e della struttura sanitaria, rimane l’onere di dimostrare che non vi sia stato alcun inadempimento, che la prestazione professionale è stata eseguita in modo diligente e che gli eventuali esiti residuati siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile (Cass. n. 18392/2017) o, comunque, che tale inadempimento non risulta eziologicamente rilevante.

Invero, bisogna tenere conto che, in materia di responsabilità medica, l’inadempimento rilevante per il risarcimento del danno non è un inadempimento qualunque, ma solo quello che costituisce causa o concausa efficiente del danno. Tutto ciò comporta nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, il paziente/creditore dovrà dimostrare l’esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario sia stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, causa del danno e, qualora, la stessa rimanga incerta, la domanda deve essere rigettata.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello, pur condividendo l’opinione del CTU, che aveva definito il trattamento eseguito sulla paziente inutile, non risolutivo e non eseguito ad opera d’arte, aveva ritenuto rilevante il fatto che quest’ultima si fosse presentata con un proprio lavoro protesico maldestramente effettuato presso un altro studio, ma non avesse dato altra prova del suo stato di salute antecedente.

La Suprema Corte ha ritenuto, invece, che il Giudice di merito non abbia applicato correttamente i principi di diritto e che l’onere di dimostrare che le cure effettuate sulla paziente, per quanto inutili e imperite e non svolte secondo i canoni dell’ars medica, non abbiano avuto alcun impatto sulla salute della persona rispetto alle precedenti condizioni di salute, debba gravare sul sanitario.

Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione accogliendo il ricorso presentato dalla paziente, ha rinviato alla Corte d’Appello, affinché, considerato che in sede di operazioni peritali era emerso che i trattamenti eseguiti erano stati inutili e censurabili sotto il profilo della diligenza medica e peggiorativi delle condizioni di salute della paziente, decidesse in merito alla prova della responsabilità contrattuale ascrivibile al comportamento negligente del sanitario e di causalità giuridica.

In definitiva

“In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, il paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore-sanitario dimostrare che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante”.

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